Cerot: “I miei trent’anni di musica un’avventura meravigliosa”

Aldo «Cerot» Marello in concerto con la sua band

ALDO «CEROT» MARELLO Domani sera al Teatro Alfieri il cantautore e campione di tamburello terrà un concerto a scopo benefico. Ospite la Iso Big Band per ricordare Gianni Bogliano

Trent’anni sono un bel traguardo e la Cerot Band lo celebra secondo il suo stile. Un concerto, in programma domani alle 21 al Teatro Alfieri, a scopo benefico. Il ricavato andrà infatti all’associazione Enrico & Ilaria sono con noi. L’appuntamento sarà anche occasione per ricordare un musicista che ha dato fin dalle origini un’impronta alla sonorità della band, il trombonista Gianni Bogliano, scomparso 12 anni fa. Al «memorial» parteciperà la big band diretta dal fratello Franco, la Improbable Small Orchestra, in cui militano vari componenti della formazione guidata da Aldo «Cerot» Marello. Il programma è simile a quello del debutto: brani di Otis Redding, Aretha Franklin, James Brown e altri, per terminare con «Luna in crisi» dello stesso Marello.

Aldo Marello, campione di tamburello e cantautore. Che cosa significano trent’anni di musica?
«Per me è stata un’avventura meravigliosa. Ho avuto sempre la fortuna di collaborare con musicisti bravi, perché io non so una nota. Ho avuto la soddisfazione di fare sempre beneficenza. Ed è stato un modo per evadere dal solito tran tran del tamburello facendo qualcosa che mi piaceva».

Come è nata la sua passione per la musica?
«C’è sempre stata, perché in casa cantavamo tutti. Mio fratello Candido amava le canzoni in piemontese. La mia svolta è stata quando arrivò il nuovo medico, Damiano Adriano. Andai da lui per farmi togliere un dente. Mi fece l’anestesia poi mi fece ascoltare “Somebody stole my gal” di Leo Wood. Non mi accorsi di nulla, ero totalmente preso da quella musica. Poi ho cominciato a sentire Bob Dylan e ho scoperto Otis Redding e la frittata è stata fatta. Otis è il mio mito. Mio fratello mi regalò un suo disco, l’ho letteralmente consumato».

E la band come è nata?
«Vennero due ragazzi a chiedermi di organizzare una partita di tamburello a scopo benefico. Ma era fuori stagione, mi convinceva poco. Proposi allora di fare un concerto, visto che da qualche tempo stavo provando con il chitarrista Nico Aloisio, provando nella sala allestita da don Bodda a Revignano. L’idea è piaciuta, così con l’aiuto di Nico e Franco Bogliano, nel giro di 15 giorni la band era fatta. Era il settembre del 1989: il debutto avvenne al Politeama il 28 marzo 1990 a favore del Gruppo Pegaso». 

Ha avuto momenti indimenticabili?
«Sì, nel 1997 il farmacista Dodi Bocco Ghibaudi ci organizzò nell’aula magna della Cattolica di Milano. Entrare in quella sala ti fa tremare, ti senti felicissimo ma anche piccolo. Per due giorni non ho chiuso occhio. Poi quando abbiamo suonato con i Nomadi a Santo Stefano Belbo».

Com’è stata la sua esperienza di cantautore?
«Mi sono sempre e solo divertito. Ho depositato alla Siae una novantina di canzoni e sono contento di aver fatto il disco “Luna in crisi”. In particolare sono contento di “Notti di collina” brano scritto con Piero Montanaro, che è ancora un suo cavallo di battaglia».

Come ha conciliato musica e tamburello?
«E’ una questione di ritmo. Il tamburello è uno sport che richiede toni e ritmi. Grazie a questa affinità non mi sono mai affaticato. E poi il segreto è poter girare, visitare posti sempre nuovi, incontrare gente che mi ama per quel che sono e fare del bene».

Che ricordo ha di Gianni Bogliano?
«Era proprio un maestro, un magister. Sapeva raccontarti la musica e te la faceva imparare senza fatica. Era uno che ne sapeva tre volte tanto rispetto a tutti gli altri eppure era sempre alla mano e disponibilissimo». 

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