Visita di cortesia a Nino Cagna detto "Braccio d'oro"

L'uomo dal braccio d'oro": credo che molti ricordino il film interpretato da Frank Sinatra e dalla seducente Kim Novak, regia di Otto Preminger, colonna sonora del re della commedia Leonard Bernstein, tratto da un racconto di Nelson Algren, uno dei misconosciuti autori statunitense di racconti dell'età del jazz oppure pensato a Joe Montana, dopo l'ennesimo trionfo dei suoi San Francisco 49rs nel SuperBowl.

Tutto giusto e tutto vero ma per noi tamburellasti l'unico vero "braccio d'oro" si chiama Antonio Cagna detto " Nino", classe 1925, da Casalmaggiore, paese della piana cremonese, fuoriclasse vagabondo, adorato dalle donne ed apprezzato dai tifosi di ogni parte d'Italia. Lui era presente nel 1960 nella squadra campione d'Italia del FIAT di Torino, con Marino Marzocchi detto Mara e Mario Riva, veronese di Breonio, ma tutti trasportati a Torino per la sete di vittoria di una città che stava conoscendo i primi momenti del più incredibile boom economico dei tempi moderni. Quella vittoria ruppe per un anno l'egemonia delle squadre lombardo-venete, che dopo quella sconfitta tornarono a dominare la scena italiana grazie sopratutto al Belladelli di Quaderni e i " Salvi " di San Massimo di Verona, che annoverava nelle sue file il prodigioso Salvatore "Tore" Biasi, uno dei cinque migliori
di ogni tempo. Vidi per la prima volta Nino giocare a Murisengo nel 1966 contro il Belladelli di Aldo Tommasi, Cordioli, Perina, Bortolazzi, Ballarini ed Aldrovandi: con lui i soliti Mara e Riva, con Marcello Quilico e Pinot Ferrero terzini. L'anno prima era iniziato il Torneo del Monferrato e il pubblico numerossimo stravedeva per le giocate di questi campioni. Forse troppo velocemente si rivoluzionò il sistema con la chiusura dei campi a muro mentre nuove disposizioni federali permisero ai fuoriclasse di entrare nel Torneo, partito inizialmente con scopi e funzioni prettamente amatoriali. Mara approdò a Codana anche come consigliere speciale del Comm. Rosmino, Riva dopo un anno a Montechiaro approderà a Castell'Alfero, rivincendo il titolo nel 1970 alla corte di Sandro Vigna, mentre Nino verrà trascinato a Cunico alla corte del Cav. Bosso, quello delle grappe, ormai invaghito dalla classe e dalle capacità del fenomeno. Repertorio molto vasto, dalla spalletta, al sottomano, con recuperi incredibili, ottimo battitore fu uno dei primi ad usare lo "spallone", tamburello sopra la testa che i veneti chiamano "manganella": per questo suo colpo speciale qualcuno finì con l'affibbiargli il nomignolo che ancora oggi lo contraddistingue da tutti gli altri tamburellisti.

Ora Nino vive alla periferia di Torino, coccolato dalla moglie, siciliana, e da un numero imprecisato di parenti di tutte le parti d'Italia, la salute malferma minata da seri gravi infortuni. Da tempo il solito gruppo di tifosi vagabondi aveva chiesto un incontro con il fuoriclasse che sin dall'ingresso ci accoglie con gioia mentre per un attimo gli occhi tornano a brillare svelti come un tempo.
Alterna momenti positivi di lucidità ad altri durante i quali la sua mente corre nel vuoto, nonostante gli sforzi per cercare di capire i personaggi che stanno li davanti a lui, quasi in segno di adorazione. Sono i suoi amici chiamiamoli d'infanzia, Uva, Pinot Ferrero, Beppe Conrotto con la moglie, è arrivato nel frattempo anche Franco Calosso: e poi ultimo ci sono io, con la mia fierezza di averlo incontrato, purtroppo o per fortuna, già in fase calante, ma ancora capace di certi colpi da far arrossire anche certi giovani di oggi. E adesso siamo li, dopo anni ed anni di completo silenzio per chiedere notizie fresche di prima mano di come ha vissuto dopo il suo ritiro dallo sport attivo. Mi parlano di una lunga odissea, anche di sofferenze, che non voglio perdere tempo a raccontare.

Intanto i parenti ci stanno rifocillando con dolci e torte tipiche, tra commenti, fotografie storiche, coppe e medaglie, attestati di stima, storie di vita ed assaggi di un ottimo vino bianco. Due ore con Nino lo hanno stancato, forse per l'emozione o per l'eccezionalità della situazione. Saluti ed auguri con la promessa di un prossimo incontro suggellano un tranquillo pomeriggio a suo modo sportivo.
Confesso che non è stato facile vivere una simile atmosfera, sopratutto per la difficoltà di comunicare: avremmo voluto parlare di tamburello, quello andato, quello dei tempi eroici ma anche di quello attuale che ha davvero bisogno di sentirsi vivo ed importante, per attirare nuovi proseliti e soprattutto nuovi tifosi desiderosi di sano divertimento come quelli dei suoi tempi. E mi sono accorto come sin dall'inizio aleggiasse nell'ambiente una commozione trasparente che si toccava con mano e che tutti noi abbiamo afferrato in maniera viscerale. Spero che Nino l'abbia vissuta intimamente, magari senza percepirla globalmente, come invece abbiamo fatto noi.

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