Settime premia “Tore”, il campione venuto dal lontano mondo del mito

Figli di un altro tempo. Da sinistra Tore Biasi, Aldo Cerot Marello, il bi-finalista olimpico Luciano Zerbini e Luigi Casalone 

Quando il vecchio campione dai radi capelli e la barba ormai color della neve ha raggiunto il centro del palco e Ivo Anselmo lo ha presentato, lui è rimasto impassibile. Con gli occhi levigati dal tempo ha scrutato la sala affollata dell’«Alegra», la grande azienda agricola di Settime dove ogni anno si premiano le eccellenze del tamburello.

Poi si è alzata un’ovazione «ispirata» da un suo antico rivale, Aldo Cerot Marello: tutti in piedi per Tore Biasi, classe 1948, il contadino di San Massimo di Verona che nel suo cortile, insieme ad uno stuolo di fratelli e cugini costruì il mito dei Salvi. Quella corte dove Luigi Casalone, il terzino (mancino) dell’altrettanto formidabile Svab Castell’Alfero, recuperò una pallina «miracolosa» in un’ epica finale che portò (1970) il primo scudetto astigiano del tambass. «Finii sul bordo della vasca del letame, la “tampa” come diciamo noi in dialetto, rimandai la pallina di là e da quel momento la partita cambiò» è solito ricordare Casalone. E gli occhi di Tore Biasi, per un attimo, hanno luccicato di emozione dopo quell’applauso infinito: da un’altra parte della sala c’era anche un altro glorioso rivale del Castell’Alfero, Angelo «John» Uva da Gabiano, il giocatore più «regolarista» mai visto su uno sferisterio.

Quanti emozioni, ricordi, suggestioni: peccato che Tore non sia stato invitato a parlare su quel palco ingombro di giovani e vecchi leoni del tamburello (Federico Merighi, Jessica Gozzelino, Emanuel Monzeglio, Nico Mariotto, Arturo Danieli il presidentissimo del Castellaro scudettato e il gigantesco Luciano Zerbini, anche lui dei Salvi, anche lui tamburellista e bi-finalista olimpico nel peso e nel disco). 
Ma, chissà, se avrebbe trovato la forza, il grande Tore (che vinse «solo» due scudetti nel 1967-68, ma ha lasciato un segno indelebile nel firmamento della memoria di questo sport) di dire qualcosa, con quella cadenza da «vecio» contadino veronese, che più di ogni altro ha amato terra e sferisteri. Su quel palco, per una sera, è salita la poesia di uno sport che non c’è più: appartiene all’epos e all’immaginazione. E che ora vuole guardare avanti, facendo tesoro del passato, come ha ben sintetizzato il presidente federale, il bresciano Edoardo Facchetti (scortato dal vice Flavio Ubiali) che sta gestendo, con un impegno «sovrumano», la difficile fase del’auspicato rilancio del tamburello. «Il premio Alegra è un patrimonio per tutto il nostro sport» ha ribadito Facchetti, davanti a un parterre affollato di campioni (da Bonanate a Medesani, da Prette a Monzeglio, a Valle a Quilico). Impossibile citarli tutti, anche perché c’era lui, per tutti, sul palco: l’immenso Tore, la stella venuta da un mondo lontano. Abitato dal mito. 

il favoloso trio dei titoli del Vignale 1992 - 1993
Guido Sampietro (Cerchiolino), Alessio Monzeglio - non ha bisogno di presentazioni - e the KING, Emilio Medesani, vincitore di ben 16 campionati a muro

la campionessa Jessica Gozzelino festeggiata dal patron del Cerrina Pier Carlo Cavallo

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