Pallapugno e tambass restano pura poesia anche senza televisione

Antignano: il campo da padel (a fianco del campo di tamburello in disuso), la palestra e il municipio “Abbiamo voluto venire incontro ai desideri di tanti sportivi” – dice il sindaco Alessandro Civardi

Nando Vioglio, presidente della Fondazione Sferisterio Mermet di Alba, ieri è intervenuto nel dibattito aperto dall’articolo di Piero Dadone sul balon surclassato dalla nuova moda del padel.

Domenica l’intervento di Piero Dadone sul boom del padel (una struttura in 163 comuni della provincia su 247) nella terra dove la pallapugno ha contribuito al riconoscimento delle colline Unesco

Dilaga il fenomeno padel. Arretrano gli sport della tradizione negli sferisteri (il balon tra Piemonte di Langa e Liguria e il tambass tra Monferrato, Lombardia, Veneto e Trentino). La penna come sempre dotta e arguta di Piero Dadone ha scoperchiato il vaso di Pandora di una realtà ormai incontrovertibile, gettando un (enorme) sasso nello stagno dell’indifferenza. Una provocazione giornalistica che ha il gusto amaro della realtà. «Da una decina d’anni il nostro movimento sopravvive al suo grande passato, mentre i campi da padel spuntano ovunque e noi perdiamo anche quei piccoli sponsor di paese che erano la nostra forza e che ora si indirizzano verso il nuovo che avanza, il padel appunto». Parole (laconiche, al limite del cinico) di uno dei dirigenti (non vuole citazioni) di una delle squadre di alto livello della pallapugno.

Poco tempo fa lo stesso presidente della Federazione italiana palla tamburello, il brescian-bergamasco Edoardo Facchetti (una parentela orgogliosamente ostentata con il compianto Giacinto, capitano della Grande Inter e della Nazionale) diceva: «In tanti si danno al padel perché anche un principiante può giocarci. Spazi stretti, non serve essere chissà quali atleti per praticarlo a livello amatoriale. Per diventare un giocatore di tamburello ci vogliono anni di preparazione». E figurarsi - aggiungiamo noi- imparare a colpire il balon ad altezza mano (pugno fasciato). Padel per tutti. Chiedere conferma per esempio a un certo Alberto Cirio (assiduo in tribuna nelle sfide di balon). Un paio di anni fa, se non ricordiamo male, durante un’assemblea proprio di Banca d’Alba (guarda caso main sponsor del campionato di pallapugno) il presidente della Regione si presentò con un occhio «annerito». «Colpa di una pallina - ammise - finita nel posto sbagliato mentre giocavo a padel». Un passatempo di facile pratica, appunto, alla portata di chiunque o quasi. Difficile d’altro canto immaginare il presidente di una Regione (o il manager di un’azienda o il professionista, l’operaio e via discorrendo) che trova il tempo per allenarsi in uno sferisterio e reperire gli avversari, per scambiare i classici «quattro pugni» al balon. Così è dunque se vi piace. Che poi il padel abbia successo perché è televisivo e tambass e balon molto meno è un altro dato di fatto. Tante volte si è discusso anche di questo. Ma la domanda è: se è diventato planetariamente televisivo il golf (la cui pallina è circa un ter- zo di un balon e la metà della sfera del tambass) davvero c’è chi pensa che non possano essere televisivi i «nostri» sport? È evidente che ci siamo persi qualcosa, a cominciare da quel vecchio mondo contadino che forniva giocatori e spettatori a questi giochi e che si è dissolto nel tempo per una banale anagrafica legge di natura. Le piazze si sono contemporaneamente svuotate di praticanti e riempite di auto e di vincoli burocratici che impediscono di fatto qualsiasi attività sportiva, gli sferisteri in molti casi restano come monumenti silenziosi al bel tempo andato (Macerata è l’esempio più eclatante: da tempio del bracciale a sferisterio per la grande musica e la lirica). L’orchestra suona mentre il Titanic affonda, verrebbe da dire per il balon e il tamburello, mentre si cercano affannosamente, compulsivamente, nuove regole, inedite formule, alchimie al limite dell’esoterico. Lo sport più diffuso è spesso quello di «sparare» contro i vertici delle due Federazioni, dimenticando che questo male oscuro della progressiva disaffezione allo spettacolo ha radici lontane e queste discipline un tempo molto diffuse sembrano a questo punto avere solo un grande avvenire dietro le spalle. Del resto ci sono state recentemente anche rinnovate speranze di chissà quali miracolistiche inedite opportunità, coincise con la venuta in terra albese dell’allora presidente del Coni Giovanni Malagò. C’era già chi ipotizzava (auspicava) addirittura un futuro olimpico per questi sport tradizionali, dimenticando però che i giochi (nomen omen) politicamente si fanno altrove, sulla base di numeri e praticanti non sempre così facili da interpretare. Che fare dunque? Alzi la mano chi ha la ricetta in tasca. Ma, forse, al di là a volte di celebrazioni anche un po’ autoreferenziali e volendo andare oltre certi stereotipi (la leggenda dei campioni raccontati dai grandi scrittori) occorrerebbe avere la consapevolezza di voler davvero affrontare il problema anche in modo strutturale. Se ne potrebbe per esempio fare un cenno almeno in occasione del grande evento di fine stagione: il «Balun d’or» di sabato a Cerretto Langhe. Tanto per provare a parlarne in un consesso diventato una sorta di cerimonia da Oscar da strapaese. E, infine, non basta neppure aver riaperto i cordoni del- la borsa dei (comunque scarsi) finanziamenti pubblici per cambiare rotta. Perché come dice Dadone questa degli sferisteri è cultura, è tradizione, è storia. E questi sono grandi sport giocati da grandi atleti. Lasciamo il padel agli amatori. E godiamoci la poesia del balon e del tambass. Con o senza televisione.

 

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