Il riconoscimento di patrimonio Unesco alle Langhe include anche la pallapugno, eppure la maggior parte degli investimenti va al nuovo sport. in foto Antignano si prepara al padel
Crescita esponenziale della disciplina sportiva denominata «padel», costola del tennis rimbalzata dal Messico in veste di moda, come a suo tempo il ballo della macarena e prima ancora dagli Usa l’hully gully e altre accattivanti piroette. Si moltiplicano i giocatori e gli investimenti in campi e strutture, che nella Granda sono arrivate a 118, il 50% in più di tre anni orsono. In 163 Comuni su 247 c’è almeno un campo da padel, il che significa che enti e imprese pubbliche e private stanno investendo a piene mani per soddisfare la padelmania dilagante tra giovani e anziani di ambo i sessi.
Nel frattempo si commentano gli sferisteri affollati per le finali di pallapugno, col rimpianto delle stagioni in cui quei pienoni erano una costante già in primavera e in estate, quando numerosi giovani giocavano al balon e molti spettatori erano disposti persino a perdere dei soldi traversando su giochi e partite. Poi però, salvo meritorie imprese e società, quando si tratta di investire dei soldi in campo pallonistico si preferisce il padel. Mentre il sostegno all’antica pratica sportiva del balon rappresenterebbe non solo un investimento nella nostra storia, ma altresì nei fattori odierni e futuri dell’economia cuneese che tanti successi internazionali sta mietendo in questo inizio di terzo millennio. Il barolo, il barbaresco, il prosecco, la trifola, la carne, i salumi, il latte, i formaggi, le nocciole, i marroni che il mondo fa a gara per accaparrarsi sono il frutto della sedimentazione di secoli di attività di contadini e allevatori di questa zona del Piemonte e del Ponente ligure. Dediti a lunghe e pesanti giornate lavorative, su e giù per le vigne, sui terrapieni dei muri a secco delle Alpi, nelle stalle delle pianure irrigate con l’acqua delle bealere scavate a «pic e pala», senza ferie e vacanze se non nei tre giorni della sagra patronale e nei pomeriggi della domenica quando, con le scarpe da festa e la «svertia» al fondo dei pantaloni, si fasciavano il pugno per colpire un balon rimbalzato dalla pantalera. Tutti maschi, che alle donne rurali nemmeno quel diversivo era consentito.
Ora possiamo immaginare che il calice di barolo centellinato sulla Quinta Strada newyorchese o nel quartiere Ginza di Tokyo, gli stuzzichini di toma e castelmagno che accompagnano gli spritz al Double Down Saloon di Las Vegas o al Berghain di Berlino profumino anche di cacce, intre e «quindici» collezionati dai produttori tra la vendemmia e l’imbottigliamento, il pascolo e la mungitura, la semina e la trebbiatura. Il riconoscimento di «patrimonio dell’umanità» assegnato dall’Unesco alle Langhe include pure il gioco del balon e così sarà se l’Onu accoglierà la medesima richiesta per le Alpi del Mare.
È sempre più padelmania: Cuneo è seconda in Piemonte per numero di campi
Sic rebus stantibus, se il gioco del balon andrà a perdere e forse anche a morire, non sarà solo un pezzo della nostra storia che chiuderà i battenti, ma pure una branca significativa della nostra economia odierna e futura. Il sistema economico e istituzionale della Granda, certifica la Camera di Commercio, ha un prodotto interno lordo di 23,4 miliardi di euro, con il valore aggiunto più alto del Piemonte, dai 34.265 euro per abitante del 2023 ai 35.943 del 2024, le esportazioni sono aumentate da 10.624 milioni a 11.174 milioni e più di tre miliardi di euro riposano in conti deposito e buoni fruttiferi delle Poste. Un siffatto rigoglioso sistema economico investe generosamente nel padel e latita nel sostegno alla diffusione, educazione nelle scuole e propaganda turistica della pallapugno. «Continuiamo così, facciamoci del male» (copyright del film «Bianca» di Nanni Moretti).